È diventato un mondo di sguardi vuoti.
E di giornate che trascorrono arrabbiate.
La prima cosa che si beve al mattino è amarezza: nel caffè, nel traffico, nelle ore che ci legano al mezzogiorno.
Poi si stringono i denti e si piomba nell’oblio dei pomeriggi di settembre; settembre che quest’anno è calato stanco su capi sempre più avvelenati di rassegnazione.
E ad ogni luna che si affaccia dalle nostre finestre, null’altro si scorge se non i germogli dell’amarezza dell’indomani.
L’amore avvizzisce tra le pieghe di lenzuola ormai svogliate; i libri si impregnano di smunta sapidità su comodini popolati da grumi di maschere inevitabilmente sporche, irrimediabilmente sporche.
C’è poca allegria. Ce ne è poca in ogni dove. Ogni cosa avanza
come se l’avvilirsi non fosse mai sorto un’abitudine, ma il mattino è sempre più amaro.
E gli occhi sempre più stanchi. E le notti sempre più insulse. E il mondo sempre più pieno; pieno di gente che piano piano si spegne, pieno di un’esistenza che piano piano si strozza.