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  • Dentro al pozzo (Nato il 27/12/2017)

  • Il vecchio pozzo stava là; fermo nella sua inquietante ombra di fascino. Giaceva in mezzo ad un campo abbandonato, vicino alla diroccata casa padronale in pietra.
    Il vecchio pozzo era sempre stato fonte di fascino e di curiosità ai miei occhi, principalmente perché mi era sempre stato detto di starvi alla larga. Trattavasi questi infatti di un profondo buco nero del quale non si vedeva nemmeno la fine. Spesso mi acquattavo nell’erba alta e lo fissavo, standone lontana quanto bastasse per vederlo senza sentire l’odore dell’acqua stagnante. Nel vecchio pozzo, narravano certe leggende, il padrone aveva affogato sua moglie in un atto di cieca pazzia. Poi aveva abbandonato la corte e se ne era andato, lasciando tutto così come era. E altre certe leggende narravano anche che nel pozzo fosse annegata una bambina un po’ troppo curiosa. La stolta si era avvicinata al bordo, forse per curiosità forse per incoscienza o forse per follia…ma poi qualcosa era andato storto e, per qualche strana ragione, doveva essere scivolata e poi nessuno l’aveva mai più vista. Leggende narravano vi abitassero i mostri dentro a quel pozzo, si diceva fosse un accesso diretto all’inferno ed era opinione diffusa che tutti coloro che vi si fossero avvicinati e che vi avessero guardato dentro sarebbero in qualche modo divenuti parte della sua buia eternità. Tuttavia, essendo che per quanta paura possa attanagliare il cuore di un bambino, la curiosità avrà sempre la meglio, un giorno presi la mia decisone: dopo aver tentennato lungamente nello studiare il pozzo oscuro, mi alzai con determinazione e mi avviai a passi sicuri verso di esso. Giunsi dinnanzi al bordo in un batter d’occhio. La costruzione era realizzata in mattoni grattati dal tempo e tenuti insieme da cemento vecchio: mi arrampicai con cura aggrappandomi ad ogni sporgenza fino a riuscire a giungere in cima al muretto; mi affacciai. All’interno l’oscurità era così densa: nemmeno se vi si avesse appiccato un fuoco dentro si sarebbe riusciti a diradare quella tenebra così spessa. Una patina verdastra e viscida ricopriva buona parte dei mattoni e l’acqua rifletteva nera come pece nel buio dell’anfratto melmoso. Era disgustosa, mi pareva quasi di poterne percepire il viscidume anche da lassù, al sicuro, al pulito, dove mi trovavo. Mentre consideravo che lo spettacolo fosse di fatto abbastanza sconfortevole da giustificare le dicerie in merito, notai con sgomento che qualcosa produceva sgusciando in quell’acqua putrida, arruffate increspature. D’istinto, la prima cosa a cui pensai fu ai mostri di cui si aveva sempre parlato e mi terrorizzai. Poi, terribilmente incuriosita, raccolsi un po’ di raziocinio e mi convinsi che i mostri, se anche fossero esistiti, per quanto possano cadere in basso, non si sarebbero mai ridotti a vivere in un buco tanto lurido e ripugnante quanto quello. Dunque, studiando i movimenti dell’acqua, arrivai presto a capire che si trattava di niente meno che un enorme pesce squamoso. Era grosso, un metro di certo, e pareva grasso e imbronciato. Mentre lo osservavo mi accorsi che, comunque, il pozzo, non era poi così inquietante visto da quella prospettiva: era un semplice pozzo pieno di acqua putrida attorno al quale erano stati costruiti tanti castelli di carta. Nessuno era morto in quel pozzo di sicuro e non era una porta per l’inferno e né tantomeno ci vivevano i mostri. Ci viveva solo quel pesce.
    “Di un po’, che hai da guardare?”
    Sobbalzai. Per poco non persi l’equilibrio dalla paura.
    Pensando si trattasse di un qualche passante che, avendomi notata incoscientemente appesa lassù, si era arrogato il diritto di intervenire, mi girai di scatto con aria colpevole, già pronta a darmela a gambe, a fingermi mortificata. Ma alle mie spalle non trovai assolutamente nessuno; solo un campo deserto e secco e alberi in lontananza.
    Allora pensai di essermi sbagliata.
    “Quindi? T’ho fatto una domanda; sei sordo, marmocchio?”
    Di nuovo! Ma chi era?
    Mi guardai ancora attorno, ma di certo non poteva essere comparso nessuno nel giro di quei pochi secondi. Eppure qualcuno parlava e non c’era anima viva nel raggio di chilometri...
    “Ma chi è?” Mi azzardai a chiedere infine.
    “Sono qui sotto.” Rispose la voce seccatamente.
    Piegai lentamente il capo verso il basso.
    “Ma... perdonami… io però non ti vedo...” dissi.
    “Non importa. Vattene via.” Mi ordinò.
    “Ma dove sei?”
    “Sono qua, perdio!” Sbottò la voce, seguita da uno spruzzo di acqua fetida.
    In un batter d’occhio capii a chi stavo recando disturbo.
    “Ma... sei il pesce?”
    “Bravo, compimenti, che astuzia, qualcuno gli dia un premio...!”
    “Le. Le dia un premio, sono femmina.”
    “Non mi interessa; chiunque tu sia, vattene via.” Concluse infine il pesce.
    “Ma perché lei parla, signor pesce?” Domandai ammaliata.
    “Ragazzino, ti ho detto di uscire dal mio pozzo! Questa è violazione della proprietà privata, potresti passare delle grane per questo, ne sei consapevole? Tanto sarebbero i tuoi genitori a pagare, ovviamente… dico bene? Lavori tu?”
    Scossi la testa interdetta.
    “Ti pareva! Figurarsi se questi giovani al giorno d’oggi fanno qualcosa di utile...” bofonchiò la bestia.
    “Ma ho solo sette anni... non potrei lavorare...”
    “Ragazzino.” sbottò schietto.
    “Sono una femmina!”
    “Non mi interessa! Ti togli di torno? Non costringermi...”
    “Costringerla a cosa?” Chiesi affascinata.
    In quel momento nella pece scura e melmosa, un paio di perle brillanti presero a scintillare: due occhi bianchi lampeggiavano nel buio come la lama di una spada pregiata. Il pesce mi guardava. E sfoderò in un attimo un ghigno ampio e cattivo. Quella visione mi spaventò assai, ma non volli darmi per vinta:
    “Scusi, sa, signor pesce. Cosa mi vorrebbe significare quel sorriso?”
    Il pesce si sorprese.
    “Ti mangio, ragazzino.” Sentenziò.
    “Ah, capisco. E come farebbe da laggiù a mangiare me quassù? Perdoni l’impertinenza, ma sarei curiosa (sì, curiosa; sono una femmina) ...”
    Il pesce ora pareva confuso e perso; nessuno doveva mai aver risposto così ad una sua minaccia.
    “Ho già mangiato altra gente prima di te, ragazzino...”
    “Ah sì? Come la bambina dei Giaroli? O come la moglie del signor Gustavi?” Domandai.
    “Esattamente. Ho mangiato loro ed anche altre persone.” Si compiacque brevemente il pesce con fierezza.
    “Capisco” bisbigliai.
    “Allora, te ne vai o devo proprio mangiarti?” Si spazientì lui.
    Io riflettei.
    “No, grazie, guardi, non ci tengo proprio… però sa che le dico? Se non le dispiace tornerò domani a farle vista.” Lo salutai saltando giù allegramente dal muretto.
    “Cosa?! Assolutamente no! Non se ne parla! Hey! Non provare a presentarti di nuovo qui, mi hai sentito? Se ti azzardi a tornare ancora mi costringerai a mangiarti! Hai sentito ragazzino? Mi hai sentito??” si mise a strillare il pesce, furibondo. E si sentiva l’acqua putrida ribaltarsi e gorgogliare e schiaffarsi contro le pareti sudice del pozzo.
    Ma a me non importava nulla. La decisone era stata presa. E quindi, come promesso, l’indomani tornai al pozzo, mi arrampicai sui mattoni del muretto e mi misi a guardare giù.
    Quando il pesce si accorse della mia tacita presenza che incombeva dall’alto, assunse un tono estremamente acido:
    "Ragazzino, che ci fai di nuovo qui? Mi sembrava di essere stato piuttosto chiaro in merito: se fossi tornato ti avrei mangiato. E così allora farò...” e sfoderò ancora una volta il suo sorriso cattivo.
    “Signor pesce, sono una femmina! E comunque non sono qua per lei, ma per il panorama, quindi non vedo perché dovrebbe mangiarmi” e presi a guardarmi intorno.
    Il pesce ne fu colpito, fu visibilmente deluso all’idea di non riuscire a intimidirmi. Mi rendo conto solo oggi della lacerante ferita nell’orgoglio che la mia insofferenza gli debba aver inferto.
    “Perché non te ne vai a guardare il panorama da un’altra parte?” Propose piccato.
    “Qui è più interessante. Tra l’altro così le posso, nel contempo, tenere compagnia!”
    “La tua compagnia non la voglio: sono stato solo tutta la vita e non sento certo il bisogno di attenzioni adesso. In più voi esseri umani avete tutti un cattivo odore e siete spregevoli e codardi. Sapete solo giudicare... non la voglio la tua compagnia, non mi serve e tu mi irriti. Sparisci o ti mangio.”
    All’udire quel così palese grido d’aiuto emergere dal fondo del pozzo, io quasi mi commossi: quel povero pesce era così solo, ed io non volevo che lo fosse. Così rimasi lo stesso. E quando ancora mi presentai il pomeriggio successivo, gli portai un sacchettino di ottima carne che avevo rubato alla mia mamma mentre cucinava. Glielo versai nel pozzo e lui dapprima esitò un attimo e poi, bofonchiando e brontolando, sputacchiando insulti e improperi, si accinse a mangiare tutto con un grande impegno nel camuffare una recondita e segreta gratitudine. Io lo guardai fare e sorrisi.
    Continuai per lungo tempo a far visita al pesce ogni qualvolta ne avessi occasione e con il passare dei giorni e poi dei mesi instaurammo quello che lui si impegnò sempre a vendermi come un mero rapporto di sopportazione reciproca: ai miei occhi il vecchio pesce era un amico miracoloso e venerabile e, anche se lui non me lo diede mai a vedere, io sapevo che la mia compagnia non dispiaceva poi troppo nemmeno a lui, che era quasi sollevato quando mi vedeva sbucare dall’alto del bordo. E sapevo anche che mai e poi mai per nessun motivo al mondo il pesce avrebbe ammesso quanto mi fosse grato; si vergognava troppo: era troppo orgoglioso. Perciò io mi limitai semplicemente a giocare giorno dopo giorno a misurare l’andamento crescente della sua affezione in base alle sempre più rade minacce di morte nei miei confronti. Finché non si arrivò ad un punto dove quasi ogni tanto il pesce si scordava di dover essere acido nei miei confronti e se ne ricordava solo al momento in cui dovevo lasciarlo per correre verso casa. Allora mentre correvo lo udivo urlare in lontananza qualcosa di cattivo. E poi: il silenzio.

    Mi ricordo come fosse ieri quel torrido pomeriggio che, come ormai ero avvezza, mi misi in marcia tutta sorridente per raggiungere il mio bizzarro amico squamoso. Mi portavo appresso un pezzetto di carne per lui e una mela per me. Arrivai al pozzo e mi arrampicai sul bordo come facevo sempre. Eppure c’era qualcosa di diverso, qualcosa che non andava: dal buco oscuro emergeva un pungente e terribile odore nauseabondo, un odore così acre da attanagliare lo stomaco di chiunque l’avesse percepito. Ed una volta che, un po’ sconcertata e confusa, ci ebbi guardato all’interno alla ricerca del mio amico, potei scorgere con disappunto una massiccia sagoma galleggiare sullo strato di acqua melmosa.
    Corrugai la fronte e riflettei con attenzione. Un manto di tristezza si calò sulle mie spalle. Compresi in una manciata di secondi che quell’ odore ripugnante era odore di pesce marcio. E quella che galleggiava sulla putrida pellicola d’acqua stagnate era la carcassa del vecchio e scorbutico pesce. Rimasi a fissare quella macabra scena con il cuore stretto e gli occhi fermi. Mi parve rimanere lì per un’eternità. Poi, con un gesto lento e mogio, lasciai scivolare il mio pezzetto di carne nella bocca del pozzo. Lo seguii tuffarsi nell’acqua e rimasi lì ancora un po’, come se mi aspettassi che accadesse un miracolo: in fondo, non era forse quello il pozzo dei miracoli? Ci sperai tanto. Forse abbozzai un’inconscia preghierina. Ma non successe nulla. Allora saltai giù dal muretto e mi incamminai verso casa con passo lento e pensoso.
    Non tornai al pozzo mai più, perché ora mi rendeva triste, perché ora non aveva più senso. Perché ora non mi sapeva più di magia. Mi sapeva solo della puzza pungente del putrido pesce. Al pozzo non tornai più, ma non smisi mai di rimuginare. Conclusi alla fine che forse sì, forse le persone non avevano poi torto: qualcuno ci poteva essere morto davvero in quel buco, in un modo o nell'altro, ma in fin dei conti che importava?
    Rimasi per anni a guardare zitta la gente mormorare e raccontarsi storie e leggende e darsi di gomito e farsi il segno della croce, ma in cuori mio seppi sempre che al suo interno non erano mai stati né i mostri, né l’inferno, non gli spettri dell’oltretomba né gli assassini: solo una povera anima incattivita dalla propria bruttezza, dalla propria faccia orrenda e imbronciata, dai propri modi villani, dalla propria inspiegabile e incompresa natura. Incattivito dalle persone. Brutto o cattivo che fosse però, rimase ai miei occhi pur sempre un amico.
    Non lo dimenticherò mai: il povero, scorbutico, pesce dentro al pozzo.


    Premetto che questo è stato uno dei primi testi "importanti" che ho scritto. E' un po' vecchiotto ormai, si porta in groppa i suoi quattro anni. Non sarà forse maturo a livello linguistico e strutturale come i miei scritti più recenti, ma mi faceva piacere condividerlo con voi comunque. Grazie mille e buona lettura :)

    Carol