Come ogni sera era tardi. Carlo si era appena infilato tra le fredde lenzuola del letto e tentava di prender sonno quando ad un tratto sentì un “badaboom!” provenire da una qualche direzione sconosciuta. Si destò dal dormiveglia. Sollevò a fatica una palpebra per scrutare l’oscurità che l’attorniava. Ma visto che non notava nulla degno di nota pensò che si fosse trattato tutto d’un errore. Forse il botto c’era stato semplicemente nella sua zucca. Ed allora chiuse ancora gli occhi e si mise a dormicchiare arricciolandosi tra le coperte. La sera era perfetta per dormire, perché fuori regnava il gelo ed il giaciglio era invece caldo e confortevole. Si, confortevole se non fosse esploso quel “badaboom!” per la seconda volta. Carlo dovette disturbarsi di nuovo nell’aprire gli occhi ed interrompere il proprio tentativo di riposo.
“Ma che è?” Si chiese.
E zitto si mise in ascolto.
Boom. Boom. Batteva ritmico il rumore, come se qualcuno stesse piantando un chiodo. Allora Carlo si alzò a sedere sul letto.
“Ma cosa è?” Si chiese più allarmato.
E Boom. Boom. Tamburellava il suono.
Carlo si alzò indispettito e sbirciò dalla finestra. Non vide nulla. Non sentiva più nemmeno il “badaboom!”. Fece spallucce e si mosse per ripiombare nel suo letto, ma eccolo di nuovo; il rumore.
Pareva vicino, estremamente. Ed allora Carlo, mosso da una punta di curiosità, ma anche di incertezza, sbirciò di nuovo dalla finestra alla ricerca di una causa che spiegasse l’origine di quei tonfi.
Il rumore si fece più insistente, ma Carlo si accorse ben presto che non proveniva dall’esterno; non era fuori.
Carlo a quel punto provò paura. Non osò accendere le luci, per un attimo rimase immobile.
Perché capì che battevano alla sua porta. Qualcuno bussava.
Carlo prese un respiro profondo. E quatto come un gatto, reso goffo e barcollante dalla sonnolenza e dal terrore, sbucò dalla camera da letto per giungere in corridoio. Il rumore si fece più potente e più vicino ancora.
Carlo si avvicinò alla porta d’ingresso. Due settimane prima era stata sostituita con una pesante e massiccia porta blindata costituita in buona parte da pesante legno pregiato. Quando Carlo si fu avvicinato alla porta, per un attimo, il suono si arrestò. Ed egli si rese immobile come una statua di marmo. Rimase immobile qualche attimo, per poi avvicinarsi ancora, raccogliendo tutto il coraggio in suo possesso. E una volta che fu vicino alla porta, così vicino da poterla toccare, poggiò un orecchio su di essa. E dopo ciò desiderò che non l’avesse mai fatto; dall’altra parte dell’ingresso si udiva un respiro pesante e affannoso, rantoli soffocati... Carlo rimase con l’orecchio incollato alla superficie in legno pregiato, benché tutto il suo corpo desiderasse scappare urlando il più lontano che potesse.
Ma non lo fece, non riuscì a staccarsene, e rimase lì ascoltando i rantoli. Ora, qualsiasi cosa vi fosse dall’altra parte, non batteva più sulla porta: era in attesa. Aspettava qualcosa. Carlo lo sapeva. Non aveva idea di che fosse o di cosa volesse, ma era chiaro che stesse aspettando qualcosa. E ad un tratto a Carlo venne una certa pensata che l’avrebbe nuovamente fatto pentire della sua astuzia. Vi era uno spioncino sulla porta dal quale poter vedere chi bussasse dall’altra parte. E lo spioncino dava sulla scalinata che portava ai vari piani del condominio. Allora Carlo vide lo spioncino e subito non si azzardò ad agire. Attese ancora. Ma i rantoli ed i sospiri continuavano a sibilare oltre l’uscio ed egli stava piano piano cedendo al panico. Carlo allora si decise. Posò l’occhio sul cerchietto in metallo e vi guardò attraverso.
E non vide nulla.
Rimase interdetto. Le scale erano vuote ed illuminate dalla fioca luce dei raggi lunari filtranti dalle finestre.
Ed ora che rifletteva meglio non sentiva nemmeno più i sospiri. Allora smise di guardare.
Rimase un po’ confuso. E fu indeciso: avrebbe dovuto indagare meglio, forse? Forse c’era un ladro?
Mentre rifletteva, sentì un suono metallico provenire dalle scale.
Conosceva quel suono: era il rumore che facevano gli anelli di sua madre quando sfregavano contro il ferro della ringhiera... forse allora l’anziana signora Cocchi, che viveva al piano superiore, era stata colta da una crisi di sonnambulismo e per qualche motivo si era ritrovata appiccicata alla porta di Carlo. Poi, forse, si era svegliata ed ora ripercorreva le scale tornando al proprio appartamento. E la fede nuziale tintinnava sul corrimano…
Allora Carlo guardò attraverso lo spioncino per confermare la propria tesi.
Ma non vide, come sperava, la signora del piano superiore.
Una figura stava ferma, girata di schiena, davanti al corrimano e lo fissava. E lo toccava con incredulità e fascino, come fosse la prima volta che vedeva qualcosa di simile. E le sue unghie erano lunghe e spesse e facevano suonare il ferro ad ogni tocco. Era una figura scheletrica, ingobbita, con le gambe gonfie ed una gonna lunga e scura in tessuto palesemente pesante.
Carlo si trovò di nuovo pietrificato dal terrore.
La figura ad un tratto si girò. E due occhi felini e gialli lampeggiarono nella luce soffusa della penombra. Carlo ebbe un sussulto, quasi lanciò un grido d’orrore, si sentiva svenire, sentiva la testa pesante, il sudore che lo infradiciava, le gambe deboli, esili, tremanti... la figura si avvicinò allo spioncino e vi guardò dentro.
“Mi scusi, lei di là...?” Disse.
“Sarei venuta a prendere la signora Cocchi.” Continuò.
“Sarebbe così gentile da sapermi indicare il suo appartamento?” Concluse.
Carlo non disse nulla. Non ci riusciva nemmeno, quasi non respirava…
“Mi scusi...? C’è qualcuno? Si sente bene?” Domandò quasi in apprensione.
Carlo trovò allora la forza di bisbigliare:
“Di sopra...”
E la figura oscura annuì.
“La ringrazio, signor Cantucci. Scusi se l’ho disturbata, torni pure ai suoi affari, tanto noi ci vedremo tra molto molto tempo. Buona serata!”
E con queste parole si mise a salire le scale con la lentezza di un’anziana signora con i mali dell’età.
E allora Carlo tornò a letto e pretese che si fosse trattato tutto solo di un tremendo incubo.
Ma il giorno seguente, l’anziana signora Cocchi venne rinvenuta defunta nel suo appartamento.
E a Carlo gelò il sangue nelle vene allo scoprire della notizia.
Tentò invano di scordarsi i fatti di quella notte per molto, molto tempo, fino a quando una sera non li dimenticò tutti quanti. Dimenticò quei fatti come dimenticò ogni altra cosa. Infatti come promesso quella fatidica notte, passato molto, molto tempo, il momento arrivò anche per Carlo.
E fu così che il signor Carlo Cantucci di 92 anni venne ritrovato morto nel suo letto una mattina d’autunno.