Bookmarks

You haven't yet saved any bookmarks. To bookmark a post, just click .

  • Lussuriosa ingordigia (nato il 05/12/2022)

  • Ti ho vista poggiata sotto quelle luci fredde che tu di freddo non avevi niente.
    Nella mia pupilla un calore sano, sodo, vellutato. Ondeggiava frastagliato come un miraggio; il primo sole che irrompe nel dormiveglia dell’alba.
    Mi hai stregato e io ho ceduto.
    Ti ho portata via.
    Ora nella mia cucina siedi con una compostezza tentatrice. Sono le cinque del pomeriggio, ma il giorno sembra non essere mai nato.
    Tenebra. Pioggia. Il russare del frigorifero.
    E tu.
    Tu lì ferma: le gote rosse, quelle curve ipnotiche e decise, il tuo silenzio; corposo, maestoso. Infuochi la stanza. La tua pelle chiama, pulsa. Il tuo sguardo chiede, tira. Silenzio.
    La mia mano scivola sul tavolo, subdola come un serpente. Una carezza, fugace. Corre via in un istante come temesse di scottarsi. Non succede. Il desiderio serpeggia ancora vorticoso e maligno. Ritorna tortuoso; striscia, sibila, ti gira attorno ammiccando, aspettando il momento giusto, il momento per attaccare. Lo sguardo fisso sulle tue guance; lisce, lucide, ipnotiche.
    Un impeto; le dita prudono, pizzicano. Una scossa: l’adrenalina.
    Sei mia.
    Sei mia, ti ho presa: ti ho piccola nelle mie mani, ma presto grande sulla mia bocca.
    E la pioggia contro i vetri fa un suono violento come il mio sangue, il mio respiro. Ma la tempesta è anche nel palato. La saliva turbina, bagna le labbra; si infila sinuosa nei cunicoli della mia carne. Calda, cola nell’oblio della gola. E’ dove ti vorrei.
    E’ dove sarai. Ti ci accompagna l’inerzia delle mie braccia. E ci tocchiamo in un bacio che è succulento:
    gemi.
    Le tue labbra si spalmano sul mio viso, la tua lingua avvolge la mia in un mantello di dolcissima asprezza; fresca, frizzante. Gli occhi tradiscono il segreto e irrompono sulle forme che assaporo. Le pupille dilatate e ti guardo perderti in me, toccarmi da dentro con carezze dissetanti e penso che non riesco a lasciarti andare, che non voglio, perché ho fame, ho fame di tutta te e gli abbracci non mi bastano. I denti di colpo zanne; scricchiolano sulla tua polpa, le mascelle si aggrappano al tuo nettare. Il mio morso risucchia e sbrodola; è ingordo, cieco. Mangio tutto, ti sbrano, non posso fermarmi, non riesco a fermarlo. Mi riempio, non c’è più spazio, ma ti voglio ancora come se non ti avessi nemmeno assaggiata. E spingo, mi abbuffo, stringo, mastico, c’è succo ovunque: mi scivola lungo il mento, mi penetra nelle narici, mi impegola le mani. La tua pelle incastrata tra gli incisivi, il tuo sangue sulle gengive. Il morso incespica su una durezza spiazzante.
    Basta.
    Un seme gironzola per la bocca.
    So che è veleno.
    Deglutisco.
    Adesso non ho più nient’altro da mangiare. Ti ho avuta fino al midollo. Mi resta in mano solo il tuo scheletro.
    Boccheggio. Rumino l’ombra dei tuoi avanzi; sporco.
    Faccio roteare il torsolo tenendo i tuoi capelli tra pollice e indice.
    Eccoti pallida, esangue, nuda e sconnessa.
    Mi sono preso tutta la tua buona bellezza.
    Me l’hai chiesto e l’ho amato, ma non è sereno; non sento pienezza.
    Scusa.